Scandicci: le Tre Madonne della Chiesa di Santa Maria a Greve
Alla scoperta di tre "piccoli-grandi" capolavori dell'Età di Mezzo e del Rinascimento, conservati in una delle più antiche chiese della città, a cura di Leonardo Colicigno Tarquini per Isolottolegnaia.it
A causa dei numerosi lavori di ristrutturazione subiti nel corso dei secoli, la chiesa di Santa Maria a Greve, una delle chiese più antiche di Scandicci (chiesa citata a partire dal 978 d.C. quando Willa di Tuscia la donò alla Badia Fiorentina), ha perduto molte tracce della sua plurimillenaria antichità.
Eppure, nonostante il suo aspetto moderno, dovuto alla massiccia ristrutturazione degli anni Trenta dello scorso secolo che capovolse l’orientamento dell’edificio ecclesiastico (fig. 1; la nuova facciata, in stile razionalista, venne trasferita sul lato del presbiterio; fig. 2), essa conserva alcune tracce del suo passato: tra le poche, ma interessanti, testimonianze storico-artistiche conservate nell’edificio scandiccese si possono segnalare tre Madonne col Bambino realizzate fra i secoli XIV, XV e XVI.
In tempi recenti, a ridosso dell’altar maggiore, dopo un lungo intervento di restauro, è stato collocato un affresco della prima metà del XIV secolo di altissima qualità riproducente la Madonna col Bambino tra i Santi Benedetto e Scolastica (fig. 3), affresco proveniente dall’antica facciata della chiesa e attribuita alla bottega di Taddeo Gaddi, uno dei più importanti maestri giotteschi della prima metà del Trecento.
L’affresco venne scoperto alla fine del XIX secolo dietro ad uno strato pittorico seicentesco; esso fu staccato dalla lunetta sestiacuta del portale dell’antica facciata e trasferito nella sagrestia della chiesa scandiccese, ove rimase fino al 2019, quando, appunto, venne restaurato.
L’affresco, piuttosto lacunoso ma leggibile (le parti mancanti riguardano il volto di Gesù Bambino, San Benedetto, di cui quale rimane solamente la mano che addita con forza Gesù Bambino, e parte della figura di Santa Scolastica, fig. 4), testimonia gli stretti rapporti tra la chiesa di Scandicci e la Badia Fiorentina, a giudicare dalla presenza dei due santi fondatori del monachesimo occidentale. Santa Maria a Greve rimarrà soggetta alla Badia Fiorentina fino a circa la metà del Trecento, quando il patronato passò alla chiesa di San Romolo in Piazza della Signoria, ma fino ad allora furono i monaci della Badia Fiorentina a scegliere i futuri rettori della chiesa scandiccese e a quali artisti rivolgersi per abbellire la stessa Badia e le chiese ad essa affiliate.
È quindi probabile che i summenzionati monaci abbiano commissionato al Gaddi (e alla sua bottega) l’affresco della chiesa scandiccese; del resto l’artista, sempre per conto degli stessi monaci, eseguì, intorno alla metà del XIV secolo, nel refettorio della Badia una famosa Trasfigurazione.
Secondo alcuni studiosi, gli allievi e i collaboratori del Ghiberti avrebbero preso come modello un prototipo del maestro ( in marmo o terracotta), non ancora individuato dalla critica, replicandolo in innumerevoli esemplari conservati in varie chiese della Nostra Regione.
La statua venne donata alla chiesa di Santa Maria a Greve dai Vitolini di Firenze nel XVII secolo ed era oggetto di venerazione da parte della popolazione locale: infatti la statua era considerata miracolosa e in caso di gravi calamità gli Scandiccesi del passato la portavano in processione.
Sappiamo inoltre che un tempo la Vergine era ornata da una corona, pregiata opera di oreficeria fiorentina del XIX secolo, oggi scomparsa; e sempre nell’Ottocento, per la devozione alla Madonna del Carmelo, lo stucco ghibertiano venne annerito (donde derivò il bizzarro soprannome di «Madonna Nera») e, alla base della statua, furono aggiunti due stemmi gigliati e l’iscrizione «DECOR CARMELI/ORA PRO NOBIS».
In un analogo stucco ghibertiano (fig. 6), conservato a Figline Valdarno, dei puttini reggi-ghirlanda a gambe divaricate decorano la base della statua. Non sappiamo però se anche la statua scandiccese fosse decorata o meno con questi soggetti.
Dal 1972, dopo vari spostamenti, ha trovato posto, all’interno di un sobrio altare moderno, posizionato sulla parete sinistra della chiesa, un bel tabernacolo robbiano databile al 1520 (fig. 7). Maria e il Bambin Gesù sono inseriti in una nicchia incorniciata da motivi a frutta e foglie. Completano la descrizione del tabernacolo una testa di cherubino al sommo dell’arco e una bella conchiglia a coronamento della nicchia.
La Madonna siede su un elegante trono giallo e tiene sulle sue ginocchia il Bambin Gesù benedicente. Alla base della statua è stato inciso l’incipit di una famosa preghiera: «SVB-TVVM-PRESIDIVM-CONFVGI/MVS-SANCTA-DEI-GENITRIX», ovvero: «Sotto la Tua protezione, cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio».
L’opera è nota alla storiografia artistica fin dal XVIII secolo, quando, in alcune guide turistiche dell’epoca, essa veniva presentata come capolavoro di Luca della Robbia. Alla fine del XIX secolo Carocci l’attribuì alla bottega di Giovanni della Robbia, attribuzione poi confermata dall’americano Allan Marquand, il maggior studioso del maestro fiorentino e della sua bottega, che inserì la scultura scandiccese in una monografia dedicata al Della Robbia, pubblicata a Princeton nel 1920.
Leonardo Colicigno Tarquini
Bibliografia:
G. CAROCCI, I dintorni di Firenze, 2 voll., Roma, Società Multigrafica Editrice, 1968 (ediz. or. Firenze 1907), vol. II.
Arte a Figline. Dal Maestro della Maddalena a Masaccio, catalogo della mostra ( Figline Valdarno, Palazzo Pretorio, 16 ottobre 2010 – 16 gennaio 2011), a cura di A. Tartuferi, Firenze, Edizioni Polistampa, 2010.