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Disabili scioccati dopo l’aggressione al Centro equestre fiorentino dell’Argingrosso, le mamme raccontano

Dopo la vicenda dell’aggressione al Centro equestre fiorentino dell’Argingrosso, i ragazzi che fanno ippoterapia sono molto turbati

Giulia Pacini (piscologa): «In caso di disabilità cognitiva, l’aggressività, subita in un luogo solitamente percepito come “sicuro” può lasciare nel disabile una sensazione di paura e disorientamento»

Lunedì, come riportato dal nostro giornale, un soggetto alterato che dimora nella baraccopoli che sta sorgendo dietro l’Argingrosso, si è introdotto nel Centro equestre fiorentino e ha aggredito due mamme dei disabili che qui fanno ippoterapia, mettendo a rischio anche l’incolumità di una ragazzina in carrozzina a rotelle. Passato il fatto di cronaca, chi si porta addossa più di tutti i segni della vicenda, sono i ragazzi disabili stessi che hanno assistito alla scena.

«Il figlio della mamma che ha avuto il cazzotto nell’occhio è rimasto scioccato fino dall’inizio perché ha visto sua mamma montare in ambulanza e portarla via – racconta Loredana Itelli, presidente dell’associazione dei genitori dei ragazzi disabili nata in seguito allo sfratto del Centro equestre fiorentino, presente alla scena insieme al figlio – è dovuto rimanere con la sorella,  la mamma è stata rimandata a casa solo dopo le 2. La notte è stato tutto uno stare in piedi, andare in camera per vedere se la mamma era a letto. È tuttora visibilmente più agitato. Mio figlio era a mettere i libri nella libreria stanotte alle 1, finché  non gli ho detto: “ma non vai a letto?” Di solito si addormenta alle 10.  La ragazza in carrozzina, quella che ha rischiato di essere aggredita,  ha avuto molta paura, si è spaventata perché se li è visti addosso. Un  altro ragazzo indica continuamente a sua mamma l’occhio, perché parla poco, ma vuole dire che l’altra persona ha avuto un cazzotto nell’orbita oculare. Quindi sicuramente hanno qualche turbamento per la vicenda vissuta. Ma a differenza di altri, non riescono ad esprimerlo».

«Mio figlio e un altro ragazzo sono già sul cavallo, quindi  hanno vissuto questa scena molto brutta da vedersi, però sono tranquilli e contenti di essere tornati dai loro cavalli – prosegue Loredana – Non  hanno fatto, per fortuna, un’associazione negativa tra quello che fanno loro (equitazione, ndr) e l’accaduto».

Un rischio, quello dell’associazione tra luogo e trauma, tutt’altro da escludere, e che può influenzare alcuni di questi ragazzi: «Assistere ad episodi di violenza su figure di riferimento affettivo è di per sé un evento traumatico – spiega la psicologa e psicoterapeuta Giulia Pacini – ma se la persona che deve sopportare l’evento è disabile, il trauma può divenire più profondo e significativo. La paura scatenata dall’aggressione, la tristezza e la rabbia dovute al senso d’impotenza e all’incapacità di reagire possono essere conseguenze per chi è stato esposto all’episodio, oltre ad una presa di coscienza della propria vulnerabilità e di quella del genitore. In caso di disabilità cognitiva, in cui si hanno maggiori difficoltà a dare senso e significato all’episodio assistito, l’aggressività, subita in un luogo solitamente percepito come “sicuro”, viene vissuta come invasione della propria quotidianità e minaccia verso le figure di riferimento e può modificare la percezione dell’ambiente, che diventa dal quel momento ostile o imprevedibile, e lasciare nel disabile una sensazione di paura e disorientamento».

Ma la conseguenza più pesante che questi ragazzi si portano dietro sul lungo periodo è  il rischio dello sfratto, perché il maneggio è per loro molto più di un semplice impianto sportivo: «Questa struttura non serve solo per fare ippoterapia, ma anche per uscire dal guscio, per uscire di casa, per socializzare e farsi amici – afferma Loredana – Alcuni di loro frequentano centri diurni, molti altri no. Non hanno occasione di ritrovarsi con altri ragazzi, fare amicizie. Questo centro è diventato il loro circolino, il luogo dove ritrovarsi con gli amici. Ed è anche un’occasione di svago per tutta la famiglia. Altrimenti con mio figlio saremmo io e lui, lui e io. Il Comune questo non riesce a capirlo?»

 

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