La retata di febbraio non ha risolto il problema. Lo spaccio al Parco dell’Argingrosso solo spostato. Per giunta, ancora più vicino alla strada e all’area gioco dei bambini. Alla nostra redazione sono arrivate segnalazioni di pusher in pieno giorno, incuranti delle famiglie che in questa bella area ludica portano i figli a giocare, degli anziani che passeggiano per i sentieri.
Un take way della droga, con gli spacciatori organizzati per la consegna quasi a domicilio: attendono la telefonata del cliente, poi gliela portano in qualche luogo concordato nelle stradine interne dell’Argingrosso: via Santa Maria a Cintoia, via Gubbio, giardino accanto all’asilo Poli, del quale ci siamo già occupati più volte in passato.
Arriviamo, tardo pomeriggio infrasettimanale di sole. Non è più la piena ora del mercato dei pusher, che ci dicono essere soprattutto la mattina e nel primo pomeriggio. Un lettore ci accompagna nel sopralluogo, entriamo dall’ingresso di via delle Isole. Sula sinistra l’area ludica con i bambini ancora a giocare. Sulla destra, il grande prato, qualche ragazzino in bicicletta, lavoratori appena usciti dalle fabbriche e dagli gli uffici a fare sport. Nel mezzo, un casottino della corrente elettrica o qualcosa di simile, circondato da una siepe su tre lati, che crea una piccola grotta, dove è facile nascondersi; e qui gli evidenti segni di spaccio e uso della droga: «guardate le siringhe», ci dice il nostro accompagnatore. Ironia, quasi smacco, questo casotto è proprio sotto le telecamere di sorveglianza; ma chi lo utilizza, non sembra farsene un problema.
Entriamo in questo antro sporco e pericoloso. Siringhe e pezzetti di carta stagnola. Scattiamo qualche foto, subito ci accorgiamo di essere osservati. Il nostro accompagnatore non ci fa caso, ma un uomo, trasandato, ci osserva da lontano, ci gira intorno. Come usciamo e rimaniamo davanti al casotto a parlare, fa il giro ed entra nel cespuglio da dietro, probabilmente credendo di muoversi di soppiatto; ma in realtà lo fa piuttosto goffamente e lo notiamo subito. Rovista, fa qualcosa tra le piante, dopo trenta secondi esce e ci guarda nuovamente di sottecchi. La prima cosa che ci viene in mente è che possa essere un tossicodipendente che studia cosa stiamo facendo, ma non escludiamo l’ipotesi che possa essere un senza fissa dimora che qui possa trovare riparo e toilette.
Andiamo a vedere al laghetto, che sarebbe dovuta essere la perla del parco, un’oasi per la riproduzione e il riposo degli uccelli acquatici. Probabilmente è per questo che la vegetazione attorno allo stagno è volutamente intricata, selvaggia e inaccessibile. Ma con buona pace dei volatili, i segni di effrazione della recinzione sono palesi, così come lo sporco e l’uso di questa selva palustre come coffee shop e postribolo sono evidenti. Perché lo spaccio non è l’unica piaga del parco; c’è, ed è noto da anni, anche la prostituzione maschile.
Sotto a un alberello tra il lago e via Gubbio troviamo un’altra pallina di carta stagnola. La apriamo: dentro non c’è nulla, ma è probabile che sia stata usata per la droga. In realtà di questi pezzetti di foglio d’alluminio ne notiamo parecchi successivamente, qua e là nella vegetazione. Il sole comincia a calare e decidiamo di levare le tende.
Qualche giorno dopo facciamo un nuovo sopralluogo, stavolta in tarda mattinata. Vediamo due ragazzi, probabilmente nordafricani, che ci guardano male. L’idea è di scattare qualche foto, ma non è aria. D’altra parte, la prassi è risaputa. Ci confrontiamo su quanto visto con un commerciante di zona che conosce bene il problema: «Ne avete visti due, ma sono molti più di quanto pensiate, c’è un grande giro nel parco – ci spiega – avete fatto bene a venire via, che quelli vi linciano. Un annetto fa aggredirono anche dei genitori con i bambini, non si fecero problemi».
Eroina all’Argingrosso. Sembrava un triste marchio degli anni ’80, invece è tornata a imporsi forse più forte di prima, anche se più subdola. E mentre tutti i riflettori sono, a buon diritto visto i trascorsi degli ultimi anni, puntati sulle Cascine, il racket della droga mette radici sempre più profonde su quest’altra sponda dell’Arno, certo meno conosciuta al turismo, ma sotto gli occhi dei bambini che giocano e che crescono vedendo questa normalità.