Il tesoro sconosciuto alle porte del Chianti
A ridosso del borgo dell’Impruneta, affacciato sulle colline, c’è il parco del Sant’Antonio. Un parco botanico e monumentale di rara bellezza alle porte di Firenze, tuttavia quasi sconosciuto ai fiorentini e ancor meno noto alle rotte turistiche. Chi non è imprunetino, ne ha una vaga cognizione solo per la Festa dell’Uva, visto che l’omonimo rione qui svolge le manifestazioni. Eppure non avrebbe niente da invidiare alla nostrana Villa Strozzi. O forse sì: le condizioni in cui versa, la manutenzione e l’esser stretto e scempiato per decenni dalle morse dell’amministrazione.
Questo doveva essere un articolo dedicato alla voglia di vicine gite fuori porta e scampagnate alle porte del nostro quartiere, nei giorni del dopo lockdown, alle meraviglie da scoprire riscoprire a una manciata di chilometri da Firenze. Ma si è trasformato in un servizio per cercare di far luce su un tesoro dimenticato. Perché quando ci siamo trovati di fronte a un tale patrimonio tanto poco valorizzato, abbandonato a se stesso, non potevamo esimerci.
Storia, arte e natura
Un parco disegnato e seguito nella realizzazione fino ai più minimi dettagli tra gli anni ’50 e ’60 dell’Ottocento, per volere della famiglia Pasqui, niente meno che da quell’eclettico Filippo Parlatore, botanico, medico, architetto, giornalista scientifico. Quello stesso Parlatore che fondatore della Società toscana di Orticoltura (quella, per intendersi, che realizzò per la propria sede il Giardino dell’Orticoltura in via Bolognese e il tepidario del Roster).
Oltre a innumerevoli specie di valore botanico, vi sono anche pregevoli costruzioni di interesse artistico-architettonico. Come la cinquecentesca cappellina dedicata a Sant’Antonio Abate, che si trova sulla sommità del monte e dà il nome al monte stesso, oltre che al parco e a tutto il rione. È stata restaurata dagli abitanti del rione nel 1959 e successivamente nel 1996: doveva avere un accesso in continuità con il parco, ma questo passaggio attualmente è chiuso. C’è poi il Ninfeo di Filomela, costruito pochi anni dopo la realizzazione del parco, alla fine dell’Ottocento, e restaurato anch’esso dai rionali nel ’98. Poi l’impianto del parco, le scalinate e financo una singolare grotta artificiale, che connette, sotto terra, la parte pubblica del parco con il giardino della villa. Unicità che infatti hanno portato l’area a essere sottoposta alla Soprintendenza.
Il dono di una nobildonna agli imprunetini
«Il parco nacque come area privata annessa alla settecentesca villa Pasqui, in particolare dai fratelli Zenobi (che fu anche senatore del Regno d’Italia) e Leopoldo – spiegano i consiglieri comunali Gabriele Franchi (Cittadini per l’Impruneta) e Roberto Viti (Obiettivo Comune), che da anni lottano per la questione dai banchi dell’Opposizione – Il Sant’Antonio è il parco pubblico con la maggior varietà botanica di tutto il Chianti. Oltre quattro ettari vennero donati dalla marchesa Anna Carrega al Comune nel 1981, con la condizione di destinare l’area a verde pubblico. Una piccola parte di confine con la proprietà della villa venne ugualmente donata nell’81, ma rimase in usufrutto della marchesa fino alla sua morte, nel 2009, dopo di che anche questa porzione è divenuta parco pubblico».
Confini segnati col righello, parti semichiuse e stato di abbandono
Ma dire che questo prezioso gioiello a due passi dal centro dell’Impruneta non è mai stato valorizzato e manutenuto dall’amministrazione è dire poco. Fin dall’inizio, gli auspici fanno intendere la poca sensibilità che chi amministra la cosa pubblica ha verso questo patrimonio. Mentre la quasi totalità del Parco viene lasciata dalla nobildonna al Comune, la Villa e la parte del parco prossima a questa va al cugino Lodovico Scarampi. Ma sui confini subito sorgono degli scempi: nonostante le indicazioni della Soprintendenza di seguire le caratteristiche ambientali e architettoniche per delineare il confinamento, in diversi tratti questo sembra più fatto utilizzando il righello. La grotta tagliata nel mezzo, il confine lungo la loggia delle conchiglie stabilito a filo del muro, escludendone parte del cornicione e l’edicola posteriore, la linea che si estende a metà del laghetto. Piccole cose che hanno dato allo Scarampi non pochi grattacapi nella cura e ristrutturazione delle sue proprietà. Tuttavia è stato negli anni successivi, che sono emersi, proprio nella manutenzione del patrimonio pubblico, con tutta la loro forza i problemi per Scarampi e per quello che sarebbe dovuto essere un patrimonio per tutta la cittadinanza:
«Nel 2013, dopo vani tentativi di dialogo e segnalazione all’Amministrazione, Lodovico Scarampi ha intentato causa al Comune per non aver mai adempiuto all’obbligo di destinare il parco a verde pubblico, e per la presenza di situazioni di pericolo nell’area di confine – continuano i consiglieri – Il 14 novembre 2017 il Tribunale, in sentenza di primo grado, ha dato ragione a Scarampi, condannando il Comune a eliminare ogni situazione di pericolo lungo il confine tra le due proprietà, e a procedere con la manutenzione sia ordinaria che straordinaria del parco. Inoltre il Comune veniva condannato a pagare 200 euro al giorno di penale per ogni giorno di mancato rispetto degli obblighi della sentenza».
Il Comune così ricorre in secondo grado, ma anche qui si vede dar torto, seppur con penali sensibilmente ridotte: «Il 12 marzo 2019 la Corte d’Appello ha confermato in toto la sentenza di primo grado, riducendo soltanto la penale da 200 a 100 euro al giorno – proseguono Franchi e Viti – Il Comune ha rinunciato a fare ricorso in Cassazione quindi la sentenza è diventata esecutiva; tuttavia questo sostiene che gli interventi previsti siano stati eseguiti e di non dover perciò pagare alcuna penale. Va da sé che è stato il Comune a stabilire arbitrariamente che gli interventi fossero stati sufficientemente eseguiti: infatti non esiste alcun accordo bilaterale che lo provi. Nonostante dal 2015 il Comune abbia firmato una convenzione con l’Associazione La Racchetta, la quale si occupa da allora della manutenzione del parco. Basta vedere le condizioni in cui versa il parco per rendersi conto dell’effettivo stato, e non certo per colpa della Racchetta. La sentenza d’Appello aveva infatti chiarito che “dalla documentazione prodotta dal Comune non risulta peraltro adempiuto il precetto stabilito dalla impugnata sentenza (insufficiente risulta il Programma di intervento 2018-2020 redatto dalla Onlus La Racchetta). Scarampi di conseguenza sta procedendo con un decreto ingiuntivo».
E così, mentre la querelle legale va avanti con tutti i tempi della burocrazia, il parco del Sant’Antonio rimane straziato e sostanzialmente inutilizzato per quelle che potrebbero essere le sue potenzialità come polo di attrazione turistica, naturalistica e culturale.