Un pittore-restauratore di Scandicci: alla scoperta della vita e delle opere di Amedeo Benini
Tra grandi scoperte e stroncature, la storia di uno dei più importanti artisti della "città della fiera" della prima metà del secolo scorso
Nato a Casellina e Torri nel 1883, Amedeo Benini frequentò, come lo zio paterno Cesare Benini sr. (nativo di San Giusto a Signano) prima di lui, la Scuola Professionale di Arti Decorative e Industriali di Firenze, ottenendo il diploma di pittore-decoratore nel 1901 con tanto di “bacio accademico”.
Finiti gli studi, Amedeo, insieme allo zio Cesare, iniziò ad affrescare negozi e abitazioni signorili con un repertorio di numerosi “ismi” (secondo la moda dell’epoca) che abbracciava i gusti neoclassico, neomedioevale, fino al più “moderno” Liberty, comunque in costante dialogo con la poetica neorinascimentale, quest’ultima più vicina alla sensibilità di Cesare, figlio di una generazione che vedeva in questo stile il linguaggio unitario del Regno d’Italia e della borghesia liberale e industriale.
Alla morte dello zio, avvenuta a Firenze nel 1909, Benini proseguì la sua attività di pittore-decoratore, sperimentando alcune tipologie di ornato “estranee” all’opera di Cesare, come la decorazione “a graffito” delle facciate, tecnica quest’ultima che praticherà negli anni Venti nella decorazione del proprio villino scandiccese in Piazza Giacomo Matteotti.
All’attività di pittore Benini, insieme ai figli Cesare jr. e Lamberto, affiancò quella di restauratore: a partire dagli anni Dieci egli riuscì a ottenere alcuni appalti dal Comune di Firenze.
La sua ditta, oltre al restauro di palazzi, tabernacoli e affreschi, fu protagonista di importanti scoperte: negli anni 1922 e 1935-1936, nella Basilica della Santissima Annunziata, tornarono alla luce due opere di Andrea del Castagno aventi come soggetti i santi Giuliano e Girolamo, mentre gli anni Quaranta si aprirono col ritrovamento degli affreschi dell’Orcagna sotto la decorazione quattrocentesca della volta della cappella Tornabuoni in Santa Maria Novella.
Nel 1934, in occasione della visita in Italia di Kurt von Schuschnigg, egli restaurò le lunette del cortile di Palazzo Vecchio riproducenti alcune vedute delle più importanti città austriache, realizzate nel XVI secolo per onorare Giovanna d’Austria, andata in sposa a Francesco de’ Medici.
Nel 1937, in vista delle celebrazioni giottesche, Ugo Procacci si servì della ditta scandiccese per effettuare degli interventi di manutenzione alle cappelle Bardi e Peruzzi di Santa Croce; in quella chiesa la famiglia di Amedeo fu impegnata anche nel restauro della cappella Bardi di Vernio, realizzando un intervento che attirò loro pesanti critiche da parte di Roberto Longhi che condannò il restauro condotto da Amedeo e i suoi figli: infatti, gli affreschi, come ci spiega Marco Ciatti, «si presentavano abrasi e consunti, e furono “ringranati” [dai Benini], forse un po’ eccessivamente, assumendo una spiacevole sensazione di falso».
Nel frattempo proseguiva l’attività di artista di Benini a Casellina e Torri.
Eletto consigliere comunale nel 1923, dopo aver sostenuto la necessità di una sede per la locale Compagnia di Pubblica Assistenza “Humanitas”, lavorò alla sua edificazione, su un terreno donato all’associazione scandiccese dal marchese Migliore Torrigiani nel 1924, con tanta generosità da essere nominato presidente dell’”Humanitas”, incarico che tenne fino alla morte avvenuta nel 1949. Sue sono inoltre le raffinate miniature che ornano le pagine dell’albo d’oro del sodalizio.
Negli anni Venti egli venne inoltre coinvolto nei restauri di diverse chiese della città, come Sant’Andrea a Mosciano, per cui realizzò delle decorazioni in occasione della scoperta di alcuni affreschi duecenteschi, e Santa Maria a Greve, che il rettore Don Giulio Cioppi aveva deciso di ristrutturare promuovendo una raccolta fondi, alla quale partecipò anche il Ministero di Grazia e Giustizia; ad Amedeo Benini furono affidate le decorazioni delle travi, delle cappelle e del presbiterio.
Dopo la ristrutturazione commessa da Don Cioppi, nel 1927 l’interno della chiesa si presentava con una copertura a capriate, quattro altari alle pareti a coppie affrontate, una cappella centrale con l’altar maggiore compresa fra altre due cappelle.
L’area presbiteriale era delimitata da una balaustra, mentre delle bande bianco-nere decoravano le arcate delle cappelle laterali e dello stesso presbiterio.
Tutto questo “manto” è stato spazzato via dalla ristrutturazione del 1934-1937 ( si rimanda a questo articolo per eventuali approfondimenti), ma per fortuna parte di questa decorazione è tornata recentemente alla luce.
Nel “tempo libero” Amedeo si dedicava alla produzione di nature morte, ritratti e paesaggi dove riprodusse la “vera essenza” della Scandicci dell’epoca, quella delle verdeggianti colline costellate dalle innumerevoli ville e case coloniche, dove l’andar delle stagioni scandiva il tempo degli abitanti, «con una tavolozza chiara e armoniosa, basata sugli accordi delle terre come gli avevano insegnato i maestri dell’affresco con cui aveva dialogato tutta la vita» (Gurrieri 1998).
In sua memoria, oltre ad una piazza, venne innalzata una lapide nei locali della “sua Humanitas”.
Leonardo Colicigno Tarquini, storico dell’arte medioevale.
Bibliografia consultata
La “bottega” dei Benini. Arte e restauro a Firenze nel Novecento, catalogo della mostra a cura di F. Gurrieri, F. Petrucci, S. Gori et al. (Scandicci, Palazzina Direzionale, 3-31 ottobre 1998), Firenze, Polistampa Edizioni, 1998;
M. CIATTI, Appunti per un manuale di storia e di teoria del restauro. Dispense per gli studenti, Firenze, EdiFir-Edizioni Firenze, 2009.