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A tu per tu con Gianni Bonini #1 Risposte locali a sfide globali: la periferia fiorentina

Come risponde la periferia fiorentina ai processi sociali globalizzati? Una chiacchierata in quattro puntate con lo storico, geopolitologo e saggista Gianni Bonini

Inizia una chiacchierata in quattro puntate con il fiorentinissimo Gianni Bonini. Storico e geopolitoligo, esperto di energie e processi produttivi, già presidente di FiorentinaGas e successivamente amministratore di alcune delle più importanti società internazionali nelle produzioni agroenergetiche (tra le altre Terrae, Agrisviluppo, Il Ceppo, Agriventure), delegato per l’Italia del Centre International de Hautes Études Agronomiques Méditerranéennes, penna dalla inarrestabile produzione documentale ed editoriale, attualmente firma de Il Tazebao, Bonini è un  personaggio eclettico, uno di quegli scienziati olistici che in una società devota alle iperspecializzazioni, non si vedono più dal diciannovesimo Secolo.

Ma se un filo rosso si deve trovare nel suo percorso, è la capacità di analizzare i territori non come parte del globo, ma come attori nel globo. E nel teatro dei processi globali,  la sua Firenze non la fa certo stare in galleria: tutt’altro si merita il palco. Non certo per via Calzaiuoli e il luna park per turisti del centro, che è diventato un buco nero in questa pandemia; ma per le periferie, che con tutti i loro danni e le infinite difficoltà, sono le cellule vive della città.

 

Risposte locali a sfide globali: glocalizzazione. Come risponde la periferia fiorentina ai processi sociali globalizzati? Dove finisce la capacità di mantenere e persino sviluppare identità rionali, ancora forti in questo quartiere rispetto alla Firenze intra moenia, e dove inizia l’appiattimento della metropoli internazionale? Ed è appiattimento o necessario adeguamento alla modernizzazione?

La periferia fiorentina è la parte produttiva della città. Purtroppo la città storica, intendo il centro e la parte appena fuori le mura trecentesche, mi sembra che negli ultimi trent’anni abbia perso molto appeal non solo produttivo, ma anche culturale. La periferia fiorentina è sede di importante processi che vengono dal passato, sia per quanto riguarda la moda, sia per la piccola meccanica, ma anche per altri settori mi sembra che possa avere le armi per potersi inserire bene in un processo di trasformazione complesso del Globo.

Quello a cui stiamo assistendo, e la pandemia ne è un effetto causa, è un processo di passaggio alla cosiddetta era cibernetica. Cioè all’automazione e alla macchina anche su larga scala, che, anche nel mondo del lavoro,  causeranno sostituzioni dolorose nel breve e medio periodo come ogni rivoluzione industriale. Due secoli fa, la rivoluzione industriale moderna in Inghilterra fu sicuramente un salto di qualità sul piano dello sviluppo umano, ma fu anche una transizione dolorosissima, poiché intere comunità furono distrutte. C’è un bellissimo libro edito nel ’69, Classi operaie e rivoluzione industriale in Inghilterra, che racconta questo parto dolorosissimo.

La periferia fiorentina, nonostante le difficoltà a tenere il passo del cambiamento mondiale, possa avere nel suo dna – perchè è più giovane, perché è fortemente dinamica e flessibile –  i geni per seguire il processo di trasformazione globale; e anche in qualche modo condizionarlo, perché la sfida è anche quella di non limitarsi ad accettare passivamente i processi, che in sé non portano il bene in quanto tale: bisogna pesarli, condizionarli e governarli; questo, tenendo presente che la classe politica italiana per una serie di ragioni, mi sembra che abbia perso la capacità di controllare i processi. Non solo oggi: siamo abituati a dare giudizi, a fare analisi di corto respiro; dobbiamo vedere però i processi da dove sono partiti. Il cambiamento di regime subito dall’Italia con Mani pulite comportò una rottura nella continuità della classe dirigente e della politica italiana che veniva dall’immediato Dopoguerra.

Questi processi di perdita, di contrattazione a livello Europeo, di di autonomia, di capacità, ma anche di presenza nel Mediterraneo vengono da trent’anni a questa parte. Non sono un grande estimatore di Conte, ma non possiamo attribuirgli responsabilità che non ha: fa quello che può nelle condizioni date; se non riconoscessimo questo, saremmo disonesti intellettualmente e politicamente.

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