Crocifisso di Donatello nella chiesa di Legnaia, la storia
Un crocifisso del Quattrocento e mandato in restauro nel 2012 dalla chiesa di Sant'Angelo a Legnaia è stato riconosciuto ufficialmente come di Donatello. Svelata la storia dell'opera e del suo restauro
Già abbiamo dato la notizia del crocifisso attribuito a Donatello ritrovato nell’oratorio della Compagnia di Sant’Agostino annessa alla chiesa di Sant’Angelo a Legnaia. Ora la notizia è certa: lo conferma la Diocesi. È annullata la conferenza stampa prevista stamani conseguentemente al divieto di manifestazioni e assembramenti imposto dalle nuove disposizioni per l’emergenza sanitaria che sta vivendo l’italia in queste settimane, ma l’ufficio stampa diocesano ha reso nota, passo per passo, la storia del ritrovamento e dell’opera d’arte, che pubblichiamo integralmente. È certamente affascinante pensare che questo crocifisso fosse nato per essere portato dai nostri devoti avi durante le processioni nelle poche, antiche strade di di quel borgo di campagna alle porte di Firenze che era Legnaia (leggi qui l’approfondimento sulle antiche strade di Legnaia):
Il restauro ha confermato la scoperta dell’opera
Le chiese di Firenze continuano a svelare tesori. Un accurato restauro ha confermato quanto intuito e approfondito da uno storico dell’arte circa il riconoscimento a Donatello del Crocifisso ligneo processionale individuato nella chiesa di Sant’Angelo a Legnaia.
Il Crocifisso, appena ricollocato nella sua sede originaria, l’Oratorio della Compagnia di Sant’Agostino, è stato restituito alla sua antica funzione liturgica e soprattutto riconsegnato alla comunità che ne ha avuto cura per molti secoli.
Il Cristo Crocifisso (1461-1466 circa) non è di grandi dimensioni (altezza cm. 89, larghezza braccia cm. 82.5), ed ha un peso estremamente contenuto (appena 3,300 Kg, esclusa la croce che lo sorregge, non originale). Un oggetto reso leggero non soltanto dall’utilizzo di un legno fra i meno pesanti come il pioppo, ma soprattutto dalla presenza di parti interne svuotate.
Elementi che indicano si tratti di un crocifisso processionale, ‘alleggerito’ proprio per essere portato al cospetto dei fedeli e condotto lungo le vie del piccolo borgo di Legnaia.
Scolpito in tre masselli di pioppo, costitutivi del corpo e degli arti superiori, il Crocifisso di Legnaia è giunto a noi nella struttura lignea originaria, sostanzialmente ben conservata, tranne che per l’elaborazione plastica della testa (anticamente completata da un rivestimento in gesso modellato, purtroppo andato perduto), e delle estremità inferiori delle ciocche di capelli.
Le analisi dei materiali e delle tecniche di esecuzione, e la comparazione dei dati stilistici ed espressivi, hanno consentito a Gianluca Amato, storico dell’arte, studioso di scultura del Rinascimento, di ricostruire le vicende artistiche del Crocifisso e ricondurre la sua paternità all’attività estrema di Donatello, padre della scultura italiana del Quattrocento.
La scoperta si colloca nell’ambito delle verifiche collaterali alla stesura della tesi dottorale, discussa da Gianluca Amato nel 2013, presso l’Università degli Studi “Federico II” di Napoli, e dedicata allo studio del Crocifissi lignei toscani fra tardo Duecento e prima metà del Cinquecento.
Il pubblico potrebbe sorprendersi di fronte al collegamento di un’opera misconosciuta col nome di Donatello. Eppure, le ricerche nell’ambito della scultura degli ultimi sessant’anni non di rado hanno messo a segno scoperte clamorose, soprattutto tra quelle tipologie di opere meno studiate, come i ‘Crocifissi’, e, più in generale, la produzione plastica nei cosiddetti materiali “umili”, come il legno e la terracotta dipinta.
“Quanto alla paternità della scultura, essa si basa su solidi riscontri stilistici. Sulla base di tali evidenze l’inedito Crocifisso si configura come un’opera emblematica della produzione tarda di Donatello, databile nei primi anni sessanta del Quattrocento – spiega Gianluca Amato –. A Legnaia l’artista riaffronta il tema del Crocifisso con attitudine mutata rispetto ai suoi monumentali esempi precedenti, vale a dire l’esemplare ligneo in Santa Croce a Firenze, sua opera giovanile, e i due testimoni, in legno e in bronzo, rispettivamente nella Chiesa di Santa Maria dei Servi e nella Basilica di Sant’Antonio a Padova.
Molti aspetti dell’intaglio di Legnaia offrono riscontri stringenti con l’Oloferne del gruppo mediceo della Giuditta (Firenze, Palazzo Vecchio, Sala dei Gigli). A ciò si aggiungono le similitudini tra il perizoma, modellato in tela imbevuta di colla e di gesso, e le intense modulazioni del copioso panneggio della Giuditta.
Sul grado di finitura dell’opera sembrano aver influito le vicende personali dell’anziano scultore, dalla fine del sesto decennio del Quattrocento Donatello fu oberato da numerose commissioni che non sempre fu in grado di portare a termine. L’inedito Crocifisso rappresenta, pertanto, un’opera realizzata da Donatello nell’ultimo periodo della sua vita. Alla fase conclusiva della lavorazione risale la ritrovata policromia originale, paragonabile, a livello concettuale, alle stesure di pittori fiorentini culturalmente affini a Neri di Bicci”.
La storia del Crocifisso, la Compagnia di Sant’Agostino
Le vicende storiche raccontano di un Cristo crocifisso in legno, appartenuto ad una congregazione, la Compagnia di Sant’Agostino, che ebbe sede a partire dai primi anni del Quattrocento nell’oratorio adiacente la chiesa di Sant’Angelo (oggi Oratorio di Sant’Aurelio). Come molte delle antiche confraternite sorte a Firenze fin dal tredicesimo secolo, anche la compagnia di Sant’Agostino di Legnaia si era qui insediata con finalità eminentemente caritative, allo scopo di prestare assistenza materiale e spirituale ai bisognosi. Essa nasceva come filiazione di un’altra confraternita dedicata a Sant’Agostino con sede in via Maffia, nel popolo di Santo Spirito. Una compagnia influente e numerosa, che tuttavia (secondo quanto ricostruito da Giampaolo Trotta nel suo studio su Sant’Angelo a Legnaia) alla fine del Trecento aveva vissuto alterne e complesse vicende, dovute alla fusione con una confraternita molto popolare in quel tempo, la Compagnia del Santissimo Crocifisso de’ Bianchi Battuti. A questa unione aveva però fatto seguito l’allontanamento di una parte di confratelli, e la conseguente fondazione di una nuova ed autonoma Compagnia di Sant’Agostino nei pressi della chiesa di Sant’Angelo a Legnaia.
Non conosciamo la ragione di questa scissione; si ipotizzano dissidi interni, forse dovuti a divergenze ideali fra questa componente, più tradizionalista e moderata della Compagnia, e i neo adepti, aderenti alla frangia più “estremista” dei Bianchi (penitenziari e flagellanti). Secondo un’ipotesi accreditata fino a poco tempo fa, i confratelli approdati a Legnaia alla fine del Trecento avevano portato con sé questo Cristo, immagine-simbolo della compagnia del Santissimo Crocifisso. E’ un’ipotesi che oggi ci sentiamo di escludere, poiché gli studi di Amato confermano trattarsi di una scultura da collocare nel settimo decennio del secolo XV e quindi in un’epoca successiva alla fondazione della Compagnia di Legnaia. Tuttavia la relazione ab antiquo fra questo Crocifisso e la confraternita laicale che lo ha accolto è un dato incontestabile, ed è anzi la chiave per comprendere molti aspetti materiali e formali di quest’opera.
Il restauro
La scoperta del Crocifisso risale al gennaio 2012. Il restauro è stato avviato alla fine del 2014, finanziato con fondi della Soprintendenza speciale per il polo museale fiorentino e per la città di Firenze.
Grazie alla volontà congiunta di due figure molto attive a Legnaia in quegli anni, il parroco don Moreno Bucalossi, e Anna Bisceglia, funzionaria storica dell’arte della Soprintendenza, la chiesa “vecchia” di Legnaia aveva visto una serie di importanti interventi di restauro su alcuni dei dipinti conservati al suo interno. Pochi anni prima l’Oratorio di Sant’Aurelio, grazie ad un parrocchiano benefattore, era stato completamente restaurato (tanto nei suoi beni mobili, che nelle superfici affrescate) restituendo a questo piccolo gioiello tutta l’originaria di grazia settecentesca.
Il restauro del Crocifisso ligneo conservato nell’anti-cappella dell’Oratorio diventava dunque il giusto coronamento di un’importante campagna di interventi conservativi a Legnaia. Un restauro destinato a cambiare la fortuna di questo semplice manufatto in legno, fino a quel momento consacrato esclusivamente alle pratiche devozionali della parrocchia: molto caro ai fedeli, oggetto di attenzioni e di cure costanti, gelosamente conservato in un ambiente adatto alla riflessione spirituale e alla preghiera; ma per converso, una scultura antica rimasta nell’ombra, estranea ai circuiti turistici che attraversano il centro fiorentino, poco nota anche fra chi, per passione o per studio, si occupa di beni storico-artistici. Un anonimato che del resto accomuna molte suppellettili di altissima qualità ancora custodite nelle chiese dell’hinterland metropolitano, poste in aree di recente urbanizzazione, certamente periferiche rispetto ad un “centro” quale quello fiorentino, eppure capaci di riservare inaspettate e straordinarie sorprese.
Quanto sia stato rilevante il ruolo ricoperto dal Crocifisso nella vita religiosa della comunità di Legnaia, è testimoniato da un altro aspetto emerso nel corso del restauro: la scultura è stata oggetto di cure e attenzioni costanti, che se da una parte ne hanno garantito la piena funzionalità e la sua sacralità, dall’altra hanno del tutto occultato la vera qualità artistica del manufatto. Un “eccesso di zelo” devozionale che ha portato al susseguirsi in epoche diverse, presumibilmente dal Seicento fino al secondo Ottocento, di ben cinque interventi pittorici, tanto nel corpo quanto nel perizoma, e che hanno causato il misconoscimento della reale portata artistica di questo oggetto e della sua valenza plastica, di altissima qualità.
L’intervento
Il restauro dell’opera, condotto da Silvia Bensi, è stato diretto dalla dott.ssa Anna Bisceglia, funzionaria storica dell’arte della Soprintendenza di Firenze, responsabile per il territorio di Legnaia all’epoca del ritrovamento.
Il lavoro ha avuto inizio solo dopo aver sottoposto l’opera ad una campagna di indagini diagnostiche atte ad individuare ed analizzare gli strati pittorici. In un secondo momento si sono raccolti dati più dettagliati sulla conservazione della scultura e sui materiali impiegati, attraverso una serie di analisi scientifiche, radiografiche e documentazione fotografica.
Le indagini stratigrafiche compiute al microscopio ottico polarizzatore hanno rilevato la presenza di ben cinque interventi pittorici sovrapposti, eseguiti in periodi differenti, intervallati da almeno cinque pellicole di sostanze organiche. In accordo con la direzione lavori è stato deciso di rimuovere tutti gli strati di materiali sovrapposti che deturpavano la superficie dell’opera, per portare in evidenza il carnato originale, o comunque il più antico in senso cronologico.
L’intervento di pulitura si è svolto in fasi diverse, strato per strato perché vari e differenziati sono risultati i materiali da rimuovere: iniziando dai pigmenti a legante oleoso fino a quelli a legante proteico.
Il restauro è stato accompagnato da un’indagine radiografica digitale che ha fornito preziose informazioni sul manufatto, come l’ottima conservazione del legno di pioppo, specie legnosa evidenziata dalle analisi xilologiche eseguite dall’Università di Firenze, Dipartimento GESAAF, professor Marco Fioravanti, importante momento conoscitivo delle caratteristiche morfologiche del legno.